16 luglio, 2015 – “Il Sole 24 Ore”
Sembrano tornati indietro di 20-30 anni. Niente cellulari, smartphone, e-mail e se qualcuno li va a trovare è bene che si preoccupi di spegnere tutti i dispositivi elettronici e meglio ancora che li lasci lontano. La vita al giorno d’oggi non è semplice per Emilie e per il suo vicino Jean-Jacques che hanno dovuto abbandonare la città per rifugiarsi in un’area ancora libera da campi elettromagnetici, vicino a Lione. Entrambi infatti sono ultrasensibili alle onde elettromagnetiche, sono “elettrosensibili”, quando vanno in giro devono coprirsi, indossare dei cappucci per ripararsi dalle radiazioni. “Avverto un improvviso cambiamento, mi viene la nausea, mi sento debole, neanche me ne rendo conto, non riesco più a concentrarmi” racconta Emilie. Per sopravvivere hanno dovuto fare una scelta radicale: vivono isolati, ma anche stando a casa non è facile. Emilie dice di sentirsi malata, vive con la paura, stacca l’elettricità prima di fare la doccia. Ha 48 anni, era un architetto prima di iniziare a soffrire di questo disturbo che le ha portato ad avere sempre mal di testa, perdite di memoria e altro. A causa dei campi elettromagnetici dice, sono condannata a vivere come un eremita. E si sente esclusa dalla società: “Non ho potuto partecipare alla marcia dopo gli attacchi a Charlie Hebdo”. Solo qui tra il legno naturale, nella sua free-zone si sente bene, senza antenne e onde di alcun tipo. In Svezia è già riconosciuta come una forma di disabilità, l’Organizzazione Mondiale della Salute la sta studiando come una “condizione”, ma c’è ancora molto da fare e studiare. Questa ricercatrice europea avverte: “E’ una malattia in crescita, si sta verificando sempre di più anche tra i bambini. Bisognerebbe predisporre ovunque delle zone libere da onde, inserirle nei progetti di urbanistica”.
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