Categoria: Notizie dall’Italia

La nostra vita da elettrosensibili – Il calvario di Paolo e Sergio, ipersensibili ai campi elettromagnetici

6 agosto 2014 – “Voci di Milano” – di Marco Puelli

“In fuga dalla tecnologia e costretti al ritiro sociale. Sono quasi due milioni gli italiani affetti da quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce ipersensibilità ai campi elettromagnetici. Una patologia che colpisce il 3% della popolazione mondiale, di cui il 10% diventa gravemente disabile. Gli elettrosensibili attribuiscono il loro malessere alle onde elettromagnetiche a bassa frequenza, emesse dagli elettrodotti, e ad alta frequenza, emesse da stazioni radio base, antenne della telefonia mobile, sistemi wi-fi e cellulari. Oggetti che sono entrati nella nostra vita quotidiana, ma che per gli elettrosensibili si trasformano in un nemico da evitare ad ogni costo. «Noi – afferma Paolo Orio, vicepresidente dell’Associazione Italiana Elettrosensibili – come tutti, eravamo entusiasti delle possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico. Ma tutto cambia radicalmente, quando ti accorgi che la fonte del tuo problema viene proprio da quella tecnologia che dovrebbe essere al tuo servizio e che, invece, ti rema contro».

Paolo, 50enne veterinario a Gallarate, è elettrosensibile da 15 anni: «Nel 1999, dopo tre anni di uso prolungato del cellulare, ho iniziato ad avvertire sintomi che non avevo mai provato in vita mia. Ogni volta che portavo il cellulare all’orecchio si manifestavano immediatamente disturbi come cefalea, emicranie, acufeni, vertigini, nausea, tachicardia, arrossamenti cutanei e perdita dell’equilibrio. Quando allontanavo il cellulare, i disturbi gradualmente diminuivano, fino a scomparire. Ho smesso di usare il cellulare, ma questo non è bastato, perché avvertivo le frequenze dei telefoni delle altre persone, dei sistemi wi-fi e degli elettrodotti».

Anche Sergio Crippa, 58enne designer milanese, si è ammalato dopo una prolungata esposizione ai campi elettromagnetici: «Circa 10 anni fa, ho abitato in una casa-studio. Un posto che faceva corpo con una cabina elettrica condominiale, che disegnava due delle pareti del mio locale. Dopo tre anni, cominciai ad avvertire sudori freddi e nausee. Da molto tempo utilizzavo il telefonino, ma, quando parlavo al cellulare nello studio, avevo conati di vomito, un sapore metallico in bocca, pupille dilatate, sensazione di svenimento. La situazione peggiorava di settimana in settimana. A volte sentivo crescere poco a poco dentro di me un senso di malessere mentale e fisico. La cosa più fastidiosa erano i problemi alle gambe: era come se il mio corpo si dividesse in due, camminavo ma non sentivo le gambe. Alla fine, ho dovuto lasciare lo studio e trasferirmi. Ora sto meglio, ma, se mi avvicino a qualche sorgente, i disturbi ritornano».

La vita di un elettrosensibile viene completamente stravolta dalla malattia. «Una persona elettrosensibile – racconta Paolo – non può più andare al cinema, a teatro, al ristorante, e in tutti quei luoghi dove siano presenti campi elettromagnetici. Ho dovuto schermare la mia auto con un materiale speciale, per ridurre l’impatto delle onde emesse dalle centraline elettriche. In casa ho tolto il wi-fi e la corrente dietro il letto. Ci sono casi di elettrosensibili costretti a vivere su una barca, o nelle foreste, lontano dai loro affetti, e ci sono elettrosensibili che sono venuti a mancare suicidandosi».

L’Oms non ha riconosciuto il nesso di causalità con l’esposizione ai campi elettromagnetici e la medicina è impotente. «La nostra malattia – continua Paolo – non è inserita nei codici ICD (International Classification of Diseases), quindi le strutture mediche non hanno gli strumenti per fornire una prognosi, una diagnosi e una terapia, e ci confinano nella psicopatologia. Troppo spesso siamo costretti a lasciare il nostro impiego, perché il medico del lavoro non può rilasciarci un certificato per ottenere un cambio di mansione, come invece accade in Svezia, dove l’elettrosensibilità è riconosciuta come disabilità e dove il datore di lavoro è obbligato ad affidare al lavoratore elettrosensibile mansioni adeguate alla sua condizione. Purtroppo la nostra patologia è irreversibile. L’unico modo per stare meglio è evitare le sorgenti. Tuttavia a Milano, come in molte altre città, si contano più di 1600 impianti. Dove un elettrosensibile può trovare pace?».”

http://www.vocidimilano.it/articolo/lstp/43056/

Trecentomila malati di telefonino. Aumentano gli elettrosensibili. «Entro il 2017 aumenteranno del 50%, ma la Regione non riconosce il problema»

6 marzo 2015 – “Il Corriere della Sera”, Cronaca di Milano – di Isabella Fantigrossi

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“Mal di testa, nausea, vertigini, pelle arrossata. Sintomi fastidiosi che, nei casi più gravi impediscono di condurre una vita normale e che compaiono vicino a cellulari, cordless o reti wi-fi. A soffrirne sono i cosiddetti elettrosensibili, i malati di radiazioni elettromagnetiche. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sarebbero fino al 3% della popolazione. «Circa 300 mila persone in Lombardia che ancora oggi non vengono né aiutate né tutelate», dice Paolo Orio, veterinario di Gallarate, vicepresidente dell’associazione italiana elettrosensibili (Aie) e malato lui stesso. L’Oms ha, infatti, riconosciuto l’elettrosensibilità solo parzialmente: i problemi di salute esistono, ma il rapporto causale tra disturbi ed esposizione ai campi elettromagnetici è ancora tutto da verificare. «Purtroppo è molto difficile dimostrare gli effetti biologici dell’esposizione a campi elettromagnetici bassi», spiega Ernesto Burgio, alla guida del comitato scientifico dell’Isde (International society of doctors for environment) che, a maggio, parteciperà a una conferenza sul tema a Parigi. «Resta, però, un fatto — dice Burgio — : le evidenze che le onde elettromagnetiche possano fare male a tutti, più o meno sensibili, ci sono già». E così, mentre la Svezia l’ha ammessa come una vera e propria disabilità, in Italia è tutto fermo.

«Qualche Regione si sta muovendo – racconta Giorgio Cinciripini, cremasco e coordinatore della rete No Elettrosmog – riconoscendo la sensibilità chimica multipla, a cui spesso si associa l’elettrosensibilità. In Lombardia, invece, ancora nulla». E il timore è che, con l’aumento delle tecnologie wireless, i numeri possano ancora crescere: secondo il professor Angelo Gino Levis, ordinario di mutagenesi ambientale a Padova, nel 2017 il 50% della popolazione potrebbe diventare elettrosensibile. Tanto più che ora il governo sta pensando di alzare i limiti dei campi elettromagnetici da 6 a 61 V/m: motivo per cui nei giorni scorsi l’associazione Amica ha lanciato una petizione, già firmata da un centinaio di medici, fisici e ingegneri, per chiedere di investire sulle connessioni via cavo, «le uniche prive di controindicazioni per la salute».

Intanto gli elettrosensibili si arrangiano come possono. «Mi sono ammalato nel 1999 – racconta Paolo Orio -. Un giorno ho preso in mano il cellulare e ho cominciato a stare male e a sentire formicolio alla testa. Dopo mesi di visite, ho capito di cosa soffrivo, anche perché stando lontano da telefonino e cordless i sintomi sparivano». O Annunziata Di Fonte, medico del lavoro di Lonate Pozzolo: «Tollero il wi-fi per un quarto d’ora, poi comincio a sentire calore, mal di testa, mi compaiono ponfi rossi sul viso. Purtroppo la malattia ha un impatto notevole sulla mia vita: in macchina, quando incrocio i ripetitori, ho delle scosse muscolari e fatico a concentrarmi; in casa ho dovuto mettere delle tende schermanti e un impianto elettrico a 16 volt. E poi non posso più viaggiare in treno, né andare al cinema: troppi telefonini accesi. Ma so come comportarmi perché sono un medico. Gli altri malati no».
Ecco perché le tante associazioni chiedono un riconoscimento, anche per avere le cure. «Ogni settimana riceviamo chiamate di persone che ci chiedono come ridurre l’impatto elettromagnetico. È ora che si intervenga», dice Sergio Crippa dell’Aie.”

http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_06/lombardia-trecentomila-malati-telefonino-a77f5ec2-c3e5-11e4-8449-728dbb91cb1a.shtml?refresh_ce-cp

Tumore all’orecchio, la Cassazione accorda la malattia professionale per l’uso del cellulare

22 ottobre 2012 – Guida al diritto de “Il Sole 24 Ore”

[Articolo datato sulla sentenza che facilita le altre cause su casi di tumore da esposizioni lavorative sia a CEM/ELF (linee elettriche ad alta tensione) che a radiofrequenze (non solo cellulari e cordless, ma anche radioemittenti e radar).
La rilevanza di tale sentenza deriva dal fatto che essa potrebbe anche aprire la strada al riconoscimento di patologie acute di varia natura dovute all’esposizione ai CEM, e persino a patologie imputabili ad altri agenti ambientali “non tabellati” dall’INAIL.]

“Riconosciuta la malattia professionale per un tumore insorto all’orecchio sinistro di un lavoratore dipendente che per 12 anni aveva utilizzato il cellulare ed il cordless per 5-6 ore al giorno. Anche se, come accertato in letteratura, il neuroma del Ganglio di Gasser colpisce soprattutto il nervo acustico e non il trigemino, la Cassazione, sentenza 17438/2012, ha ravvisato “almeno un ruolo concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia”, riconoscendo al lavoratore una invalidità dell’80% e la conseguente corresponsione dell’assegno a carico dell’Inail.

Il rischio aggiuntivo
La difesa del lavoratore aveva infatti prodotto una lunga documentazione scientifica, condivisa dal giudice di secondo grado, che se non permetteva un “giudizio esaustivo”, individuava “un rischio aggiuntivo per i tumori cerebrali”, ed in particolare per il neuroma, dopo l’esposizione per oltre 10 anni a radiofrequenze emesse da telefoni cellulari e portatili. Elementi ritenuti “molto rilevanti” in quanto ben rappresentavano il caso del lavoratore in questione.

Il rilevante grado di probabilità
Promosso, dunque, il ragionamento della Corte di appello di Brescia che aveva ravvisato la “probabilità qualificata” dell’esistenza di una relazione tra l’suo del telefono per motivi di lavoro e l’insorgenza della patologia. Infatti, nei casi di malattia professionale non tabellata, come anche in quelli di “malattia ad eziologia multifattoriale”, spiega la Suprema corte, “la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può invece essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità”.

In questo senso, il giudice deve consentire all’assicurato non solo di esperire i mezzi di prova ammissibili ma anche “valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale”, alla luce delle caratteristiche in cui concretamente si svolgeva il lavoro. E dunque, i tempi, i macchinari utilizzati ecc.

La prova del vizio di motivazione
Non solo, proseguono i giudici, “nei giudizi in cui sia stata esperita una Ctu di tipo medico-legale, nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni dell’ausiliario giudiziale, affinché i lamentati errori e lacune determinino un vizio di motivazione denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate”, da dimostrare con altrettante prove scientifiche. Mentre così non è stato. Infatti, l’Inail nel contestare l’esistenza di un legame tra il neuroma del nervo acustico e quello del trigemino non ha allegato alcuna ulteriore fonte scientifica.

Una valutazione a tutto tondo
Mentre “significativamente” la sentenza di appello seguendo le osservazioni contenute nella perizia tecnica “ha ritenuto di dover ritenere di particolare rilievo quegli studi che avevano preso in considerazione anche altri elementi, quali l’età dell’esposizione, l’ipsilateralità e il tempo di esposizione”, come visto, tutti fattori rilevanti in quanto presenti nel caso di specie. Non solo, la Cassazione ha accordato anche un credito in più agli studi citati dalla Ctu proprio perché indipendenti e non finanziati dalle aziende telefoniche.”

http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/civile/civile/primiPiani/2012/10/tumore-allorecchio-la-cassazione-accorda-la-malattia-professionale-per-luso-del-cellulare.php

TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA:

http://static.ilsole24ore.com/DocStore/Professionisti/AltraDocumentazione/body/13500001-13600000/13577519.pdf

Cosa significa essere Elettrosensibili

Caricato il 03 luglio 2010

Intervista a Chantal, elettrosensibile da pochi mesi.
Dopo aver vissuto per dieci anni nelle meravigliose isole Samoa, due anni fa si è trasferita ad Ostia, iniziando ad usare per la prima volta nella sua vita cellulare, Wi-Fi e vivendo ad appena 200 metri da ripetitori dei cellulari.
Ha iniziato a provare strani sintomi che il suo medico ha classificato come “psicosomatici”.
Rifiutata questa etichetta, come insensata, Chantal si è rivolta all’Associazione Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale – A.M.I.C.A. (www.infoamica.it) per avere informazioni e gentilmente ha rilasciato la sua testimonianza.
Mentre la comunità scientifica si divide su cosa sia l’Elettrosensibilità, su come si può diagnosticare e curare, i malati aumentano e non ci sono tutele per loro.